mercoledì 20 marzo 2013

Benvenuta, Primavera

PRIMAVERA
E cos’è poi primavera:
caldo tepore,
prati verdi e alberi in fiore
Voi che ancor la vedete
Danz’ella alla brezza dell’ore liete?
Ditele allor  d’andar mesta
Che già estate arriva lesta.
Ditele poi di non pianger sfortuna,
che sempre in ciel sta la luna
Di gioie e dolor è pieno il cammino
Ma di fiori  e colori  ne dà mazzolino.
Or altrove  guardate e nel  futuro sperate
Poi ch’ella ogni anno ritorna dov’era

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CELI DI MARZO

Sereno e azzurro intenso,
il tepore che copre di energia
nel risveglio di sensi e volontà,
la pigrizia del riposo sempre in agguato.
Scure nubi all’orizzonte
Tolgono  vigore ad ogni progetto
Fastidioso spira il vento
Sprezzante dei teneri germogli
La pioggia si fa grassa
D’improvviso
Ma non è che un veloce passaggio
Un lampo, uno squarcio.
Che già l’arcobaleno all’orizzonte
chiude il cerchio dei sogni
 

martedì 12 marzo 2013

LUCI, DARIO.

Prova generale aperta al pubblico e primissima spettacolare attesa da tanto tempo. Gli attori fremono nei loro camerini tra trucco e parrucco, le sartine intente all’ultima stressante prova costume.
La prima donna si concentra sugli esercizi vocali come una soprano della Scala.Il regista passeggia su e giù  dal proscenio ripassando le sequenze, le mani dietro la schiena, tra attrezzisti e fonici.
La stampa oggi deve attendere fuori e il servizio d’ordine fatica a contenere la folla.
Solo lui, Dario, tecnico delle luci, se ne sta tranquillo alla sua postazione già da ore fumando di tanto in tanto una nazionale senza filtro. Conosce a memoria la sua parte, il suo mestiere come a menadito tutto il teatro. I controlli eseguiti e ripetuti più volte. Rischio errore pari a zero.
Tutto è pronto, predisposto, progettato, concordato. Eppure questa sera c’è qualcosa nell’aria, ma nessuno sa dire cosa sia.
La compagnia si raduna al centro del palco per il rito scaramantico. Ci si guarda reciprocamente negli occhi, fiduciosi, speranzosi, ma al contempo anche sospettosi, guardinghi.
Il direttore annuncia che la sala è piena e si può cominciare. Tre colpi di campana, lenti, equidistanti, secchi, invitano a fare silenzio. Le luci in sala vengono spente. La solennità del momento rimane come in sospeso.
Il sipario sale lentamente con lieve fruscio di corde.
Dario è in postazione. La scena si apre in penombra. La consolle risponde lanciando un fascio di faretti dall’alto che si fissano ognuno su un personaggio, lo illumina finché parla e poi si spegne.
Entra Sigfrido. Dario porta in avanti un pulsante per lo spot che lo segue. Botta e risposta con Carlotta. Le luci si alternano alle parole. Scarto minimo dovuto al flusso di corrente., pari all’eco, che fortunatamente è impercettibile.
Gli spot colorati: il blu viene intensificato, il rosso spostato a destra e il giallo ridotto.
Ora bisogna seguire i passi di Rosetta, ma piano, con discrezione.
Effetto campana bianca. No, non sul pubblico! Si distraggono!
Ora da sinistra. Il reflex passa sul fondale, vengono inserite le stelline e tirata giù la strobo.
Il ritmo della luce è più veloce delle battute. Bisogna rallentare altrimenti qualcuna viene saltata o dimenticata e il filo si perde, si rompe.
Questa sera serve a capire le reazioni del pubblico di domani e c’è bisogno di più impegno. Dai, che abbiamo passato momenti peggiori e tu hai sempre risolto ogni problema!
Dario, Dario? Dove sei? Cosa succede? Non fare scherzi proprio adesso! Te l’hanno appena detto che è importante. Nessun’altro sa come far funzionare quel coso! Dai, Dario.
B   U   M
Buio e silenzio. Stranamente nessuno si muove o grida. Tratteniamo tutti il fiato. Il regista chiama Dario al cellulare che gridare sarebbe da maleducati.
Una lucina blu si accende in un angolino del soffitto, nascosto tra impalcature, funi, spot e riflettori. C’è il vibracall che rimbalza  su tutta la struttura.
Il buio permane, ma dal di fuori nessuno lo nota. Strano: nessun reclamo e non si vede nemmeno un  accendino. Maledetti divieti e moda del NO SMOKING.
In scena sono tutti impietriti. Anche il ritorno audio si è spento. Black out?
Sembra che l’intera sala si sia trasformata in quel mondo a sé che tanti immaginano, descritto in tomi e volumi.
Pubblico e attori dipendono ora da una sola persona che non è il regista o almeno non è la persona che fa il regista.
Il tempo scorre nelle vene dei presenti senza dare mostra di sé. L’attesa, prima snervante per la curiosità, ora è timore del futuro. Il senso di orientamento ha perso i suoi punti cardinali.
Ah, se solo quella lucina blu si espandesse e indicasse almeno un punto d’incontro!
Dario non risponde.
DOVE SONO LE CANDELE? – sbraita il regista dal sottopalco con attrezzisti e scenografi impazziti – QUALCUNO VADA A VEDERE COSA È SUCCESSO. ANZI NO, SI VADA AI CONTATORI E SUBITO PER DIO.
Concitazione ma nessuno ha il coraggio di eseguire gli ordini
ALLORA, SIAMO MICA INCOLLATI AL PAVIMENTO? La voce urlante sembra provenire direttamente dagli inferi.
L’incertezza serpeggia voluttuosa come un fiume in piena. Né Dario né la luce manifestano la loro presenza e il mondo esterno sembra non notare quel buco, quell’assenza improvvisa.
Rosetta trema e non per il freddo che avanza. Nessuno la vede. La primadonna ha perso la voce, ma le parole rimastele in gola non hanno né senso né utilità. Sigfrido non è più spavaldo e si rifugia dietro il cordone del sipario.
La situazione è in stallo di looping. Tutti pregano e imprecano contempora-neamente. Non c’è Dio né religione che tenga. Ormai quel che è fatto è fatto, ma forse la causa non siamo noi.
Eppure destino e imprevisto non avevano ricevuto invito. Escluso categoricamente era anche l’errore. Dati tecnici ed esperienza erano necessaria garanzia assoluta. Niente sondaggi per le troppe variabili di improbabilità.
Nell’aria si sentiva qualcosa, ma nessuno l’ha voluto prendere sul serio. Punti deboli nel sistema non ne esistevano e le paratie erano chiuse da tempo.
ALLORA             PERCHÉ?

Siamo qui fermi e inermi in balia di questo buio sconosciuto dal quale vogliamo uscire e lo vogliamo perché non ne capiamo la causa, non ne vediamo la fine né la vogliamo aspettare.
Nessuno si muove e lo spettacolo NON va avanti. Il copione è scritto, nero su bianco: basterebbe seguirlo. O è solo uno spettacolo al buio, forza bruta dell’immaginazione? I ruoli e le parti sono ancora valide o possiamo permetterci varianti? Gli attori potranno ribellarsi? E il regista avrà ancora voce in capitolo? Potrà ancora muovere i fili? Si capirà quando ridere o quando applaudire? Ci basterà il tono della voce?
Dario è l’unico in grado di sbrogliare la matassa, ma di lui non c’è traccia.  Il suo cellulare, a forza di squillare, ha esaurito la batteria. Il puntino blu non si attiva.
Molti ormai hanno il cuore in gola, ma preferiscono tenere l’orecchio teso.
Nel silenzio cupo il sipario cala.
Si riaccendono le luci in sala come per miracolo lasciando trasparire solo grossi sbadigli tra il pubblico. Qualcuno sospira, mentre altri già si avviano all’uscita. Stasera niente applausi.
Prima che si aprano anche le uscite di sicurezza, Dario si sfoga da un altoparlante:
LO SPETTACOLO  È TERMINATO. CI AUGURIAMO VI SIA PIACIUTO .

venerdì 1 marzo 2013

PRIMA DI DARMI ALL'IPPICA

Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro. Mi fermo davanti all’ippodromo ovvero quel che resta di quel divertimento che gli animalisti hanno stroncato con la scusa di trattamenti violenti contro le povere bestiole. Modi disumani e violenti? Stavano di certo meglio di tante povere creature costrette all’epoca di mio nonno  per esempio a tirare carri o aratri pesantissimi per ore e ore senza avere né cure mediche né, spesso,  riparo adeguato.
Mi guardo intorno e mi tornano alla mente tanti ricordi. Qui ci venivo con mio padre la domenica quando ero alle elementari: era una gioia per me e un cruccio per mia madre. Ci venivamo per tentare la fortuna, dato che il destino non ce ne riservava molta. Di tentativo in tentativo i pochi risparmi se ne andavano senza freni.  Sempre meglio che metterli in banca, diceva mio padre,  con la speranza che un giorno o l’altro avrebbe fatto il colpaccio, in qualche modo.
È così che sono diventato broker finanziario: avevo l’istinto del rischio nel sangue, dissero quelli che mi assunsero appena laureato.  Loro però non seppero mai che avevo invece fatto i salti mortali durante gli studi per non pesare sulle spalle di mia madre, china a pulire uffici e case signorili per darmi un futuro. 
Se ne è andata dieci anni fa, ma è rimasta fino all’ultimo china a cucire, a lavare e pulire per gli altri per qualche soldo e nessun ringraziamento. Quell’immagine di estrema sofferenza mi ha sostenuto in momenti negativi e mi ha riportato a terra dopo vittorie inaspettate.
Adesso sono qui, davanti a questo cancello chiuso, in procinto di chiuderne io stesso uno molto più pesante. Stasera dovrò consegnare la macchina. Appartiene alla ditta, in leasing e il suo riscatto a titolo personale mi costerebbe tutti i fondi accantonati con fatica e straordinari. Domani mi recherò all’ufficio collocamento con i mezzi pubblici e penserò a mio nonno;  una vita spesa a cavallo, unico mezzo di  trasporto tra un appezzamento e l’altro, fedele amico di tante avventure.  E lui lo poteva cavalcare solo in virtù del suo ruolo da mezzadro.  Io invece  non ci sono affezionato per nulla alla mia macchina: è solo una quattro ruote di lusso, per abbagliare i clienti. Inoltre costa troppo anche a mantenerla.
Domani cosa mi aspetta: il vuoto, il nulla, l’inutilità di studi e di esperienza.  Se ci penso, mio padre si è ammazzato per il suo lavoro, regalandoci pure due soldi di pensione. Altri tempi. Il lavoro anche se duro per lui ha pagato. Io invece me ne andavo porta a porta in giacca e cravatta, ma che ne ricavo?
Cosa mi resta: la baita del nonno con quei pochi  metri quadri di terreno. La usavo come casa delle vacanze e ora dovrò farne residenza. È tutto arredato e un periodo di riflessione nella natura non mi farebbe male. Al diavolo il mutuo e il loft in centro. Trovo subito una famiglia che mi paga l’affitto, una di quelle che sul contratto ci scrivi un nome e poi ci vanno a dormire in dieci. Non importa se poi creano problemi, basta che paghino regolarmente.
Deciso, mi ci trasferisco da domani, tanto posso seguire le quotazioni dal mio smartphone in WIFI e mantenere per lo meno il capitale. No, un momento: anche quello è del mio quasi ex datore di lavoro e da domani il mio portafoglio andrà in mano a qualche pivellino rampante a caccia di superbonus che oltre me sostituirà per lo meno altri due.
Comunque in fin dei conti ho poche cose da trasportare, giusto quelle personali. Mi basta affittare un camioncino o chiedere aiuto per il prossimo week end. Addio città, comodità e bella vita!
Mi improvviserò agricoltore cominciando a mettere a posto l’orticello: ci sono serbacce, arbusti non fruttiferi, sassi. La fatica non mi spaventa e poi non ho frequentato sempre la palestra anche per i muscoli? Gli attrezzi sono quelli di mio nonno, ma posso sempre contare sui consigli dei vicini, residenti ormai da anni.
E poi chissà: l’attività potrebbe allargarsi ad un agriturismo con vendita del superfluo o potrei organizzare in paese una cooperativa. Da quelle parti non ci sono molte alternative  e tanti tornano al paese dopo che le fabbriche a valle chiudono una dopo l’altra. Darei una mano al territorio, come si dice.
Sarà un’avventura per me, quello che per i miei avi era cosa naturale. Là ho sempre trovato qualche anima buona disposta ad ascoltarmi alla bisogna. Mica come qui in città dove un’amicizia la devi cercare con il lanternino e stare sempre all’erta.
Magari poi allevo anche qualche gallinella o coniglietta, per la carne e le uova ovviamente. Tutto rigorosamente biologico, concimato con vero stallatico. E per completare la filiera, non deve mancare il latte di mucca o di capra che i pascoli e il fieno non mancano.
Vuoi mettere poi anche qualche cavallino per fare delle belle gite o far gareggiare alle fiere. Dovrei solo mettermi di nuovo in contatto con certi amici di mio padre...
Perché aspettare ancora. Chiamo il mio amico Salvatore e gli chiedo se ha ancora possibilità di vendermi quella puledra di cui discutevamo, quella che dovrebbe promettere grandi cose. O potremmo anche iniziare con una coppia, che tanto il posto per tenerli e allenarli ce l’abbiamo gratis! E pensarci prima?
Papà, però, bell’idea mi hai dato.