HO
LASCIATO IL POSTO MACCHINA A UN TERRORISTA – Vendredi 13, un fin de semaine en
noir
Ciao
Amore, ci vediamo stasera!
Anche
questa mattina sono uscito come al solito salutando mia moglie, ancora
indaffaratissima a imbellettarsi per il lavoro. Sono sceso e mi sono diretto
verso la mia auto parcheggiata poco più in là del nostro portone, cosa non di
tutti i giorni. Il traffico si stava intensificando quando ho liberato il
piccolo spazio rioccupato subito dopo da una vettura scura che ci entrava a
malapena con numerose manovre.
Bravo
l’autista, devo aver pensato immettendomi in corsia verso il semaforo di rue de
La Fayette. Ero in orario ma non ho guardato chi uscisse da quella vettura.
L’abitudine di non farci caso.
Ho
continuato il mio viaggio già con il pensiero alla serata: oggi è venerdì e di
solito passa mia madre o mia suocera con qualche teglia o con la quiche solo da
infornare. Poi abbiamo due biglietti per un teatrino di periferia: il solito
Molière, sempre divertente. Una serata come tante in un novembre che ancora ci
regala tepori e colori caldi come una cioccolata corretta al cointreau.
In
ufficio soliti sguardi stanchi e mezzo-assonnati dei colleghi che si affacciano
anche loro al fine settimana convinti di riprendersi poi in due giorni. Davanti
al distributore di bevande si parla dell’amichevole allo Stade de France e il
nazionalismo – si gioca contro la grande Germania! – prevalica sullo spirito
sportivo.
Ci
sediamo tutti poi alle nostre scrivanie chi già con il telefono in mano e chi
con qualche pratica da chiudere o archiviare. Si guarda la posta poi le novità
politiche del giorno. Solo verso le dieci, dieci e trenta, dopo l’ennesimo
caffè si inizia a fare il punto di quanto rimane da fare nelle ore che restano.
Dopo
pranzo, alla mensa parliamo sempre di famiglia, di tasse, di automobili, di
donne… E al rientro si fa il programma per la settimana entrante.Alle quattro si dà una ripulita ai tavoli e si mette a posto quel che resta.
Un’ora
e un quarto rispetto la mezz’ora della mattina per ritornare a casa. Stasera
gran casino: devono essere state previste delle deviazioni sia causa la partita
che causa dei concerti rock che dovrebbero portare grande pubblico.
Dicono
che le autorità cittadine siano in allerta, ma a noi non lo vogliono nemmeno far
vedere. E noi subiamo. Non si vedono poliziotti in giro, almeno non in divisa e
le volanti saranno già tutte concentrate nei dintorni dello stadio.
Sotto
casa nemmeno uno spazietto libero e devo fare tre giri dell’isolato per trovare
posto. Stavolta sono al limite con un passo carraio e spero non passino i
controllori. Lunedì mi serve la voiture!
Passo
a prendere la baguette di ordinanza. Domani mattina potrebbe piovere e poi
siccome rientreremo piuttosto tardi non avrò voglia di alzarmi. Fare colazione
senza non è mia abitudine, soprattutto nei week end.
Pago
e saluto qualche vicino di casa, tutti con la stessa mia fretta. Salgo in casa
seguendo un insolito profumino: lasagne alla parmigiana, una ricetta trovata
chissà dove o inventata da quelle della zia Lietta, bravissima cuoca… di casa.
Mia
moglie è sotto la doccia e mi prega di abbassare la temperatura del forno. La
pietanza cuoce da quasi un’ora ormai e lei ne ha approfittato per iniziare a
prepararsi. Io fremo per andare al bagno e non vedo l’ora che lei esca. Mi
trattengo quanto posso, lavandomi le mani nel lavello della cucina. La tavola è
già preparata, anche se mancano i formaggi e il vino. Stappo una bottiglia
mentre ascolto il telegiornale: si parla di Islam, ma anche di ripresa, di
America, della partita, del gran premio, di… solite cose, ormai.
Sento
la porta della camera cigolare e mi fiondo alla toilette. C’è l’odore
del sapone addensato nel vapore che ancora ristagna. Respiro quella scia che mi
riporta indietro di anni. Mia moglie ci tiene, da bella e brava parigina al
bon-sentir della propria persona. Mi fa girare la testa con profumi a volte
orientali, a volte muschiati e a volte floreali. Immerso nei miei pensieri non
la sento chiamarmi a tavola. Mi è passata davanti alla porta, semi nuda e non
me ne sono accorto. Sarà la fame?
Ci
sediamo e scorgo altri sapori, altri colori. Il piatto è pieno e il gusto….da
gourmet! I bocconi si susseguono a ritmo sfrenato, ma non solo perché devo
anche io andare in doccia e radermi. Assaporo materia e respiro, pensiero e
gusto. Delicieux!
Parliamo
durante la pubblicità della nostra giornata e di quello che faremo domenica.
Decidiamo di portare le nostre mamme a Versallies e poi a Fointainebleu. Se
splende il sole sarà bellissimo fare una passeggiata magari immaginando di
essere alla corte di Marie Antoinette.
Dobbiamo
sbrigarci, ma quando entriamo alla stazione del Metrò siamo stretti a braccetto
come due sposini. Ci guardiamo inaspettatamente negli occhi e lei rimane
aggrappata stretta a me nonostante non ci sia tanta gente nei vagoni. La
macchina è rimasta parcheggiata a due isolati da casa. Troppo casino stasera.
Poi la metro ci porta fin sotto il teatro. Comodo!
Nel Foyer mentre lei cerca i biglietti dentro la sua pochette io deposito i nostri cappotti al
guarderobe, mettendo subito il cartellino per il ritiro nel portafogli.
Entriamo
e andiamo a cercare i nostri posti. Stasera pienone da tutto esaurito. La gente
esce ancora volentieri per Molière, ma non solo. Abbiamo visto tutti i bistrò
pieni qui attorno. Si mangia e si beve in compagnia. Alla faccia della crisi e
del nostro governo.
Lo
spettacolo inizia. Anche il battimani è corposo e gli attori se li meritano
tutti questi applausi.
Poco
prima dell’intervallo si sente un brusio che diventa sempre più forte. Forse la
nazionale, che a quest’ora dovrebbe aver finito di giocare, ha perso contro la
Germania? Crucchi bastardi!
Il
vocio si fa più intenso e dappertutto si notano le luci dei telefonini.
Qualcuno squilla nervoso. Ma non dovrebbe essere proibito? Cosa fanno le
maschere? Tento di capire cosa sta succedendo.
All’improvviso
il capo della troupe o il direttore del teatro esce sul proscenio. Si parla di
attentati, di morti, di sparatorie. Le autorità hanno subito decretato lo stato
di emergenza e presto tutto sarà bloccato. Lo spettacolo viene sospeso e i
biglietti eventualmente rimborsati se non si potrà assistere a una replica
speciale in data da destinarsi.
Si
scatenano tutti sulla rete: confusione e caos in tutta la città. La polizia ha
blindato dei quartieri e quindi sarà difficile tornare a casa. Invitano alla
calma, ma è meglio incamminarsi. Nessuno ancora sa nulla di preciso di cosa
stia accadendo. Ci guardiamo mesti e usciamo quasi in fila indiana a capo
chino, avviandoci tutti verso il proprio rifugio.
Mia
moglie si aggrappa a me come prima, ma io non so se le basterò. Ci guardiamo
negli occhi, come prima, ma l’intensità è offuscata. Non so se sia paura,
timore, panico o solamente disillusione che la liberté stia crollando come una
statua di sale.
La
Metro ci porta solo due stazioni più in là. Taxi non ce ne sono e quelli che
circolano sfrecciano veloci non si sa dove. Hanno forse meno difese di noi. Ci
incamminiamo quasi alla cieca. Non conosco il quartiere, ma fortunatamente so
orientarmi nonostante l’ora tarda.
Il
traffico ha una intensità inusuale, il che mi fa pensare che stasera sia
veramente accaduto qualcosa di brutto. Abbiamo i nostri cellulari, ma non ho
nessuna voglia di riaccendere il mio. Mia moglie prova a contattare le nostre
mamme. Sono tutte e due a casa nostra e ci attendono ansiose. Alla TV hanno
parlato di un teatro preso d’assalto e pensavano fosse il nostro. Mia moglie le
rassicura: stiamo bene, siamo vivi, ma siamo a piedi e non sappiamo quando
rientreremo. Possono attenderci lì e farsi compagnia.
Sul
viale della Republique sfrecciano veicoli a sirene spiegate. Non li vedo.
Pompieri? Ambulanze? Polizia? Allora veramente è grave! Camminiamo rasente i
muri mentre la gente accanto a noi entra furtiva nei propri portoni con sguardi
bassi e indagatori.
Affrettiamo
il passo ma dopo pochi isolati ci viene il fiatone. Stiamo scappando, sì, ma da
chi? Dove sono? Chi sono? Non siamo sicuri di essere al sicuro, ancora
abbastanza lontani da casa. Stasera niente aiuto da amici e conoscenti. Meglio
non disturbare. Poi a casa ci aspettano le mamme.
Ci
guardiamo. Mi sono perso. Cerco di chiedere indicazioni a qualcuno, ma sono
tutti di fretta come indaffarati per l’arrivo del roi. Ognuno con il suo
fardello di pensieri vaga per la strada in cerca di riparo. Fortunati quelli
che hanno deciso di non uscire. L’aria è pesante.
Continuiamo
il nostro percorso a ritroso. La prossima stazione della Metro è già chiusa.
Motivi di sicurezza ci dicono. Mia moglie ha le vesciche ai piedi, ma non si fida
a levarsi le scarpe. Troppo pericoloso. I locali sono vuoti o già chiusi. Che
succede? Allarme atomico?
Con
dei fazzolettini tra scarpa e piede, tra pellame e pelle, si prosegue a ritmo
lento. Se dovessimo correre all’improvviso? Se ci fermiamo però ad aspettare un
taxi arriviamo domani mattina e chiedere un passaggio non è proprio il caso.
Nei
paraggi abita un mio ex-collega con la moglie, ma è tardi. No, guarda, sta
uscendo proprio ora con un sacchetto dell’immondizia! “Serge, Serge! Scusa,
ciao. Come state! …” Tento di farmi sentire, di farmi notare, ma lui prosegue.
Non so dove stia andando e dato che mi pare che non abbia voglia di parlarmi,
tiriamo dritto anche noi. Una pausa, mi dice mia moglie, non le sarebbe stata
bene. Al massimo avrebbe potuto chiedere alla moglie di Serge un paio di Nike,
sempre che quella abbia il suo stesso numero. Meglio così allora.
Ancora
un paio di isolati e ci siamo. Di nuovo a casa. Stiamo arrivando dall’altra
parte rispetto a dove ho parcheggiato. Non importa. La controllo domani. Qui
sembra essere tutto come al solito, tutto normale.
Alla
nostra vista le nostre mamme ci abbracciano e ci baciano come quando siamo
rientrati dal viaggio di nozze. Era dieci anni fa e mai da allora avevo temuto
di non poter proteggere adeguatamente mia moglie.
Lei
mi guarda come se fossi un eroe. Certo: averla riportata a casa sana e salva è
stata un’avventura, anche se ci è rientrata con i piedi sanguinanti. Io
comunque l’ho scampata dal doverla portare in braccio. Mi ha detto che non era
più una bambina e nemmeno una sposa alla prima notte di nozze. Avrebbe fatto
anche lei la sua parte in caso di guai.
Andiamo
tutti a letto con poche notizie: pare che alcuni estremisti islamici si siano
fatti saltare alle porte dello stadio e che qualcuno sia entrato in un teatro
dove suonava una band americana e abbia sparato all’impazzata. Ma dico io: è
così che si reagisce per non aver trovato il biglietto?
Alle
prime luci dell’alba accarezzo la guancia di mia moglie che ancora dorme al mio
fianco e mi sfilo da sotto le coperte. Preparo il caffè e vedo le chiavi della
mia voiture. Scendo un attimo a controllare e così vedo se trovo un posto più
vicino. Appena fuori dal portone vedo camionette e poliziotti tutt’intorno al
luogo dove ieri, press’a poco alla stessa ora sono salito sulla mia piccola e vecchia
Peugeot. Cerco di avvicinarmi e un gendarme me lo impedisce. Riconosco un mio
vecchio compagno di studi, uno che già allora faceva il duro con gli stranieri.
Mi risponde di farmi gli affari miei.
Riconosco
il mezzo sul quale stanno armeggiando: si tratta proprio della macchina scura
che aveva preso il mio posto! Un altro gendarme alza un fucile, trovato nel
bagagliaio della stessa. Cantano vittoria. Perché?
Giro
l’angolo in tutta fretta. Mi fermo e quasi vomito. Ho lasciato il posto
macchina a un terrorista o solo a un pazzo omicida. Forse se non trovava parcheggio
se ne andava o desisteva dal suo compito.
Forse.
Il suo di cammino è stata un’avventura che gli deve essere costata la vita,
quella stessa che lui ha tolto a tante altre persone innocenti.
Io
non so se sono innocente o solo sfortunato.
Torno
a casa, da mia moglie che mi attende con la baguette da tagliare e la tazza di
caffè fumante. Va verso la TV. La fermo. No cara, meglio non sapere.