giovedì 1 dicembre 2016

SPACCACES


I piccoli fori che avrebbero dovuto far defluire lo scroscio si erano otturati piano piano con il calcare trasportato proprio da quel liquido che da loro fuoriusciva.

Nessuno se n’era accorto e nulla mai era stato intrapreso contro quel fenomeno insulso. Nessuno quindi sapeva.

Nemmeno lui che nell’urgenza aveva trovato quell’angolino costruito appositamente. Non lo avrebbe mai nemmeno pensato potesse succedere. E proprio a lui.

Tirata la maniglia verso il basso si sentì subito spinto improvvisamente e incontrovertibilmente verso l’alto. Non fece a tempo a piegarsi, né ad alzarsi, né a spostarsi in alcun modo per evitare di esserne coinvolto.

Se ne rese conto solo in aria, nel cielo, con i pantaloni che si sfilavano con la forza di gravità, nel tentativo di uscire da quella situazione incresciosa. Il terrore non proveniva dall’immediato pericolo di cadere, no, ma più orripilante e odiosa gli era la possibilità di venir rinvenuto mezzo ignudo e attorniato da cocci riconoscibili con ogni evidenza.

Nessuna salvezza, ahimè, nessun paracadute. E pure poco tempo per le preghiere. “Mio Dio no, per carità! Non voglio…”

Come nel famoso cartoon non ebbe che il potere di sgranare gli occhi arrivato all’apice della parabola, incapace anche lì di togliersi dall’impiccio. Ormai tutto era compiuto.

Si sentì risucchiare. Di lì a poco l’impatto sarebbe riecheggiato per tutta la vallata, senza scampo.

E poi le risa, le risà… le risate di chi passandogli accanto lo avrebbe riconosciuto! AIUTO!

Un sogno, il risveglio, il sudore, il riconoscere di non aver toccato il fondo, non ancora. Sulla sedia accanto allo scrittoio i pantaloni accuratamente piegati…

“Domani vado a comprami un bel paio di bretelle!”


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Un piccolo Schrooge versione -2. ... per augurarvi di non trovarvi mai in una situazione come quella descritta.

BUONE FESTE A TUTTI I MIEI AFFEZZIONATI LETTORI!

LES INDIFFERENTS 11 - Lettera a un indifferente deluso


Carissimo,

mi dispiace, ma non sai quanto io mi sia sentita in dovere di dirti le cose che ti ho detto ieri sera.

Scusa la mia schiettezza, ma fa parte di me e un’amica non è un’amica se si trattiene, soprattutto in casi come questo.

So che ti sei offeso. Ti ho visto andartene con la faccia mogia e l’espressione di chi manda a quel paese. So che avrai anche pianto per aver udito le mie parole, ma non ho potuto proprio farne a meno.

Certo fa male anche a me, credimi e ti avrei rincorso se non fosse stata la mia rabbia a trattenermi. Rabbia per vederti così, indeciso al limite del menefreghismo, sciatto e inetto quanto basta per non reagire nemmeno se ti passano sopra con un camion. No, a urlare dovevi essere tu e non io.

Sei così tanto scettico e deluso dalle nostre battaglie? Cosa ne è del tuo ardore contro l’ingiustizia e del tuo impegno sociale? Tempo e fatica sprecati, pensi.

No: l’umanità non si cambia restando seduti ad aspettare il treno. Ognuno deve fare la sua parte, ogni giorno e in ogni luogo. Ricorda: il potere appartiene al popolo, soprattutto nel giorno delle elezioni.

In un certo senso però non ti biasimo ora, dopo una notte che forse ha portato solo a me consiglio. Alternativa seria e valida non c’è o non si è presentata o non ha raggiunto il quorum alle primarie.

Ma noi nell’urna non inseriamo solo una scheda: affidiamo il nostro pensiero e la nostra fede nel futuro, con lo scettro delle rimostranze fino alla rivoluzione. Abbiamo noi la pala in mano. Pala o forcone se vuoi, ma dobbiamo difenderci. Non possiamo considerare il nostro compito assolto usciti dal seggio: siamo cittadini e anche se pensi di subire, hai il diritto a protestare.

Non si protesta standosene a casa a guardare il telegiornale. Si protesta agendo onestamente, rispettando le leggi e alzando la voce per fare proposte serie e concrete.

Si protesta facendo funzionare gli ingranaggi senza abbassare la testa.

Tu preferisci ora ritirarti a leccare le ferite, quelle inferte per invidie mai sopite e sempre mal celate. Ok, fai pure, ma ricorda che il mondo gira e con esso l’umanità.

Anche io mi alzo la mattina per andare al lavoro con sempre meno voglia, ma non saprei che farmene del tempo se mi rintanassi senza un motivo.

Ti passerà anche questa. Ti conosco, non sai stare nemmeno tu troppo tempo “fuori”. Se vuoi ti aiuto ad alzarti con nuova linfa, nuova energia, nuovo vigore, nuove idee.

Insieme sarà più facile o forse anche divertente. Non rimanertene ora in disparte solo perché un’amica ti ha detto in faccia che voltare pagina non deve significare voltar gabbana!

Si cambia, certo e noi non ti fermeremo né ti obbligheremo a restare se non vuoi. Se qualcosa è andato storto, diamolo come un incidente di percorso, traiamone gli insegnamenti del caso e andiamo avanti.

Dai, non essere permaloso e discutiamone. Magari ne nasce qualcosa di bello.

Io sono qui e ti aspetto a braccia aperte, anche se andrò avanti, con o senza di te. Qui dove la mia e la tua passione sono fiorite, qui dove il futuro è già adesso.

Costruiamolo insieme, ti va?


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Riprendo con questo pezzo la serie degli INDIFFERENTS, dato che qui l'argomento si fa un po' politico di sottofondo. Non abbiatemene se la regolarità in questo senso non è proprio precisa, ma si sa che gli argomenti non mancano quasi mai. Ciò che qui gioca un ruolo decisivo è il timing della pubblicazione. A voi il verdetto.

domenica 16 ottobre 2016

LA PRINCIPESSA BALLERINA


Lo so, quanto successo mi segnerà per sempre. Ho intrapreso il viaggio con una valigia piena di sogni e di speranze. Sogni che avevo tirato fuori dal cassetto, impolverati dalle mie paure e la speranza di avere tutte le carte e le occasioni in regola per farmi notare. Sarei tornata vittoriosa o non sarei tornata affatto.

Invece sono vittima di un disastro come tanti altri in passato solo che stavolta non è stato per colpa mia. Non ho più la valigia, no nemmeno un cambio decente e soprattutto non più il mio bel vestito da valzer di tulle blu e verde. Blu e verde come i colori del mare che io ho avuto la possibilità di vedere pochissime volte nella mia vita, relegata in montagna con i miei nonni ad attendere papà e mamma

 Li ho attesi fino al giorno dell'arrivo della signora, si quella ballerina che veniva a curare quella brutta malattia presa chissà dove. Dicevano che non avrebbe più ballato, se non attraverso le sue alunne che io spiavo dietro le quinte del teatro che tenevo in ordine per campare. Le osservavo e copiavo i loro movimenti e a Natale mi esibivo davanti il nonno quasi cieco che batteva le mani. Unico regalo di ogni anno cosi come le estati a servizio della signora che alla morte del nonno mi prese in casa sua. Come serva. E allora ho imparato anche a state in punta di piedi, a non fare rumore quando c'è la musica.

La musica risuonava anche in quella sala e io avevo voglia di ballare ma il capitano non aveva occhi per me.

Dopo il secondo naufragio sfiorato, quello della scialuppa, siamo approdati su un'isola. Non sapevo che fare. Ho cisto che subito tutti si sono raggruppati attorno alla più piccola che gridava di un genio della conchiglia con gli strass. Elargiva cose. Scambiandole con altro. Mi sono guardata il vestito tutto rotto e cencicato. Anche lì c’erano dei brillantini, ma sapevo che non nascondevano fate.

Ho solo voluto vedere cosa succedeva e ho sacrificato la mia cioccolata - avevo notato lo sguardo di quella strana figura - e ho chiesto... Una scala. Che andasse in giù o on su non importava. A me bastava che portasse, Qua o in qualche luogo. Poi ho visto che attorno alla casa comparsa all'improvviso stavano gironzolando dei miei compagni di sventura e mi sono aggregata offrendo la scala.  

Ci riunimmo e facemmo il punto: strumenti e accessori a disposizione, esperienze e capacità, professioni. Età o provenienza non contavano?

Li ho lasciati sul punto di litigare. Ognuno aveva la sua visione e i problemi per loro erano solo tecnici, risolvibili in quattro e quattro otto.

Me ne sono uscita e ho scrutato il cielo chiedendo al nonno consiglio e protezione, per tutti. Ho visto nuvole buie all'orizzonte. Nonno diceva: niente di buono. Diceva lo stesso delle caprette che si incornavano a vicenda. Lasciarle sfogare o dividerle, mai mettersi di mezzo.

Tornai da loro annunciando tempesta. Tacquero all'istante. Erano pronti a partire già tutti decisi. E io a guastar le feste... Dovevamo rimandare.

Si fece subito sotto Carlo, il militare, che diede a me l'ordine di stare in cambusa e tenere in ordine. Io volevo la mia avventura e non credevo ai messaggi del capitano, già al sicuro, lui. Passò la tempesta e anche un paio di giorni e io ero già stufa di essere li rinchiusa ancora tra quattro mura e con un padrone. Gli altri non mi degnavano di conforto o parola che per "prendimi questo, portami quest'altro". No, mi sono detta, non puoi finire così.

Pregai ancora il nonno e questa volta il mio desiderio venne esaudito. Un elicottero bello grande che sembrava un cavallo alato scese sulla spiaggia a cercarci. Fui felicissima.

Ora sono qui, di nuovo a casa dalla sua signora. Sono cambiata: come un cagnolino che si era perso in cerca di compagnia di suoi simili, chiedo scusa come fosse mia la colpa. La padrona mi bacia in fronte e mi chiede con un sorriso di ballare. Che bel benvenuto!

Sarei stanca ma per quel che lei ha fatto per me mi esibisco volentieri. Non importa quel che ho passato, da adesso posso camminare a testa alta: ho salvato tutti dalla tempesta e lo show l'ho avuto lo stesso. Danzare sulle punte ora è come volare.


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Questo racconto è scaturito dopo la frequentazione di un workshop di scrittura esperienziale a Treviso sabato 15 ottobre 2016. Ringrazio  e saluto chi era presente.

mercoledì 5 ottobre 2016

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